lunedì 5 febbraio 2007

La malinconia di Zidane, ermeneutica di un gesto inconsulto

Che altro bisognerà inventarsi per risarcire Zidane del fatto che l’Italia vinto il Mondiale di calcio? Nei primi giorni del 2007, in Svizzera, oltre al premio per il terzo posto tra i migliori giocatori del mondo attribuito dagli allenatori, gli è stato consegnato un premio come miglior giocatore del Mondiale. Ma come, hanno giustamente osservare sul Corriere, “il premio per il miglior giocatore del Mondiale lo vince uno espulso per una testata al petto dell’avversario?”. E allora ecco un’intervista, sempre dell’inviato del Corriere, in cui si inizia a parlare di questo premio, evidente coronamento dell’addio definitivo di Zidane al calcio, per arrivare – per forza, non se ne poteva fare a meno – a interrogarlo sull’argomento cruciale; e così, alla domanda: “Materazzi sostiene che le ha chiesto più volte di fare la pace e lei rifiuta”, Zidane risponde: “Io non lo conosco. Non so chi è. Non l’ho mai frequentato”, ecc.
Da una persona matura, da un uomo con tutti i suoi attributi, uno si sarebbe aspettato un minimo di autocritica. Di tempo ce n’è stato. Una persona che desidera acquisire una dimensione morale (o recuperare una dimensione morale perduta) avrebbe potuto, nel frattempo, dire: “Mi dispiace, ho perso la testa, ero stanco, ero frustrato perché non riuscivo a segnare…”. Non so, poteva buttarla sul piano calcistico. Invece Zidane continua a sostenere di essere stato provocato (ma Materazzi potrebbe dire la stessa cosa) come se questo giustificasse qualunque gesto, per poi arrivare all’affermazione estrema: la negazione dell’esistenza di Materazzi. Lui Materazzi non lo consce, e quindi lo può anche prendere a testate sullo sterno in mondovisione. Chapeau.
Bisogna ricordare, per correttezza, che questa sorta di corsa al risarcimento di Zidane è stata preceduta da una posizione molto dura, a caldo, del quotidiano sportivo francese l’Equipe, che lo aveva molto rimproverato per il suo gesto. Poi, è partita, dai professionisti del politicamente corretto, la segnalazione del rischio di “razzismo”. Infatti. Zidane è algerino, in figlio dell’Islam. E siccome noi occidentali, notoriamente, abbiamo perso il senso dei veri valori (e meno male che ogni tanto c’è qualche Zinedine Zidane che ce lo ricorda) non ci rendiamo conto dell’effetto devastante che le parole di Materazzi, qualunque esse siano state, possono aver avuto nell’intimo dell’animo del calciatore francese. Perfetto. Ognuno ha le sue priorità. E su questo possiamo discutere all’infinito. Quello, però, che forse il pubblico italiano ancora non sa è che “La malinconia di Zidane” è stata oggetto di un libricino di 16 pagine, scritto da Jean-Philippe Toussaint, pubblicato dalle Editions de minuti, in cui si scomodano categorie elevatissime per descrivere e spiegare l’accaduto. Innanzitutto, la letteratura e la pittura: “Zidane guardava il cielo di Berlino senza pensare a nulla, un cielo bianco con sfumature di grigio dai riflessi bluastri, uno di quei cieli di vento immensi e cangianti della pittura fiamminga, Zidane guardava il cielo di Berlino sullo stadio olimpico la sera del 9 luglio del 2006, e provava con un’intensità pungente il sentimento di esserci, semplicemente di esserci, nello stadi olimpico di Berlino, in quel momento preciso del tempo, la sera della finale della Coppa del mondo di calcio”. Sembra una presa in giro? Andiamo avanti. Il gesto di Zidane è tutt’altro che banale, secondo Toussaint, perché “ha avuto la subitaneità e lo svolgimento di un gesto calligrafico. Se sono bastati pochi secondi per compierlo, non ha potuto avvenire che al termine di un lento processo di maturazione, di una lunga genesi invisibile e segreta”. Un gesto che va al di là del ben e del male. E quindi, l’altra categoria scomodata per descrivere la melanconia di Zidane, è, comprensibilmente, la psichiatria: “la malinconia di Zidane è la mia malinconia, la conosco, l’ho nutrita e la provo. Il mondo diviene opaco, le membra sono pesanti, le ore appaiono appesantite, sembrano più lunghe, più lente, interminabili”. Bella descrizione della presa di coscienza di uno stato depressivo. Poi, si ricorre alla psicanalisi: “Zidane, d’altra parte, non ha mai smesso di manifestare la sua stanchezza in modo inconscio, con la fascia da capitano che non smetteva mai di cadere, la sua fascia che calava e che lui continuava a riposizionare in modo maldestro sul braccio”. Altra categoria, immancabile: l’estetica. “La forma gli resiste. E ciò è inaccettabile per un artista, conosciamo i nessi intimi che legano l’arte alla melanconia”. Già, li conosciamo dal Romanticismo. E quindi, Zidane, secondo Toussaint, sposta il problema: “Incapace di segnare un gol, segnerà gli animi”. Bello, bellissimo.
Ma non è finita: ecco l’ultima categoria: il surrealismo, il ricorso alla filosofia presocratica. Toussaint tira fuori il paradosso di Zenone e lo riadatta a Zidane. Il colpo di testa di Zidane non è mai avvenuto, perché la sua testa non ha mai raggiunto il petto di Materazzi. Esattamente cometa freccia di Zenone non ha mai raggiunto il bersaglio. Insomma: magari. Magari: ci saremmo risparmiati fiumi di inchiostro per commentare quello che è solo un gesto inconsulto di un figlio ingrato che la Francia dei lumi non è riuscita a illuminare, e tutte le recriminazioni che sono seguite – a parte quella ironica e genialoide di Toussaint – sono state un modo in cui i Francesi rivelano il loro ingiustificato senso di superiorità nei confronti degli italiani. La verità vera – che si percepiva parlando con loro nei giorni immediatamente successivi alla nostra vittoria – era proprio che non sopportavano di esser stati battuti proprio da noi.
Ben altri fiumi di inchiostro, questi sì giustificati, ha fatto scrivere un gesto dialetticamente opposto a questo. Un “colpo fantasma”, che ci doveva essere e non c’è stato. Quello che Cassius Clay ha sferrato al volto di Sonny Liston, mettendolo KO e conquistando il titolo di campione del mondo dei pesi massimi. Che generazioni di spettatori collegati anche loro in mondovisione, giurano che non c’è stato. E che se anche ci fosse stato, non avrebbe mai potuto abbattere Sonny. Eravamo nel 1964. E lì il mistero era veramente fitto, perché per anni si disse che era stata la mafia, che aveva il monopolio delle scommesse nel mondo della boxe, a ricattare Liston e a imporgli di simulare la sconfitta. Poi si è scritto che erano stati i Mussulmani neri a truccare l’incontro perché avevano bisogno di un eroe, Mohamed Alì, appunto. E non si è mai saputo neanche come è morto Liston, nel fiore degli anni, ammazzato chissà da chi, chissà perché, chissà cosa non doveva poter mai più dire. Questa è una vera storia, una storia per scrittori veri, altro che la maleducazione camuffata da dramma esistenziale del signor Zidane.

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